l’omino incensurato non aveva gambe
non aveva occhi. senza naso.
batteva cassa ogni mese
un bastone, per l’amor di Dio,
per terra, tre volte
trecentoeuro di interessi
e conviene pagare sull’unghia pittata
rossa e notti bianche sul cuscino
pregando. ma non voleva finire.
di tagliare freddo, il vento
ci supera sempre di mezzo metro
e si volta ridendo. una iena che dorme
sul fianco destro non la smette di urlare.
non la smette.
allora, una madre.
una che non si arrende ma non parla.
un marito di la’ che aspetta nuvole
da cadere e novantesimo minuto. tutti zitti.
e cantava ninnananne come meglio poteva
lei, passi rotti e cicche da mendicare
dove i papà attendono cicogne e
la fame, da nascondere nei pugni.
una porta rotta
un altro buco da nascondere
dietro persiane abbassate
un esercito di figli
che la guerra non la smette di sfinire.
non la smette.
ed erano giardini di sete
una figlia che correva freddo di biciclette
gambette corte e un sogno di trecce
nei viali di sabbia che risaliva.
ed intanto qualcosa che cambia
la fa donna, nelle dita mangiate di sempre
sempre la stessa fame da disperare
troppo corte le dita per tirare funi
e sbagliare il tiro. ogni volta
piccole storie di una vita
una voce che non è la prima volta
che sputa. e neanche l’ultima
– non ho più un soldo bucato –
e la sete non la smette di appassire
non la smette.
(novembre 2007)