Io, la notte e tutte le notti, dopo

 Ci vuole coraggio per respirare
troppa neve sulle costole, quest’inverno
che se solo mi sapessi davvero
lo sentirei questo vento
che mi sciarpa le labbra, zitte

le mani tremano e mi adopero
quello che posso, le dita,
intendo una marea sfinita
questo lasciare che sia, altrove

Altrove le stelle bruciano
le ho toccate, era notte
e c’erano carri che volavano le nuvole
ci sono cieli che non mi sanno
eppure stanno sulla testa
e mille rumori da scordare
sembrano passi,

quelli che ho lasciato
bandiera bianca sulla spiaggia
e un maggio che piangeva
mi implorava di restare

ginocchia al petto e un angolo solo
per sudare camicie di buio
io, la notte e tutte le notti, dopo.

Ché poi arriva l'equinozio delle rondini

Ché poi è un mistero, lo stupore
di come non si smette mai di nascere
eppure grembi di madri si fanno gomiti di spazio
nel ventre dell’aria e pochi altri spiccioli

fame d’ossa – per esempio –
quella che langue, deserta,
tra un’unghia e la spina dorsale

come se l’avorio
o due particelle miserrime di idrogeno
potessero fare la differenza!

Ora, si pensi all’equinozio delle rondini
che anche se s’attardano talvolta,
è vero che poi arrivano.
e lo fanno sempre
anche se hai i capelli corti
e corri dietro ai fazzoletti bianchi.

Anche se hai le dita contate
per mangiucchiare la fame d’amore
loro arrivano
e quasi ridono sotto l’ala.

Ché poi ti prende un sonno
che non sai più che pesci pigliare
e nuoti l’aria in mare aperto
senza la maschera
con il cloro negli occhi
che ti cieca.

Ché poi resti
– povero sostantivo solo
senza ossigeno –

 

 

Un giorno che c'era amore

 

ci sarebbe stato,
forse un caso, un giorno
che c’era amore
non lo dimentico,
fra ventiquattrore di passaggio
e passeggio di tram
quanto è vera quest’aria
che barcollo
e il monossido sul cuore

ci sarebbe stato
a dirla tutta un vento, altro
che di tramontana sulle labbra
ce n’è sempre troppa
e ancora vele questi anni
che ci sarebbe stato qualcosa
ma non fu mai nulla oltre l’ozio
e il cinico balbettare perditempo
delle ore in questo strazio
di silenzi a stracci
e un cuore bianco che s’immola,
lacero,

già destino strabico
nella bocca, già ultimo
questo participio a gamba tesa.
che m’inciampa
precipitando le solite scale
e un nulla qualunque

ché ci sarebbe stato
e non fu mai.

Imperfetto di circostanza

odore di imperfetto

il cielo è reciso

dalle mezzenuvole

che ostento

un corvo azzarda voli

di circostanza

 

e zittisce un compasso

sotto l’ala testarda

 

comprometto dell’avorio

fresco di nicotina

masterizzo un sorriso scalzo

e rovisto tra le vertebre

un altro passo, tanto per.

 

scongiurandomi ennesima

 

stavolta

Sembianze Indisciplinate

C’è che un lanternino
smaglia il buio acido
-anticipando-
questa di me ombra
E’ pressapoco notte, e fonda,
spessa, sulle spalle ingolfite
inquisite da un sì barlume fioco.

 

E stare a trafugare alibi
dagli indici sazi
sarebbe come cercare
l’esatta disciplina
di queste onde trascurate
tridimensionali di quel solo
che basta a farmi obesa

probabilmente
cieca fisionomia d’iride
allo specchio
e latitanza d’ossa

 

Sembianze Indisciplinate

Un lanternino
smaglia il buio acido
inquisendo labbra
ormai poco più
che notte fonda
sulle spalle ingolfite
 
e stare a trafugare alibi
dagli indici sazi
sarebbe come cercare
l’esatta disciplina
di queste onde trascurate
tridimensionali di quel solo
che basta a farmi obesa
 
probabilmente
cieca fisionomia d’iride
allo specchio
e latitanza d’ossa
 
dentro.

Una tenda e fiori in erba

Ha un che di sofisticato questa tenda
fiori in erba e odore di cielo
e mi dissi se fosse il caso
concedermi lo sbirciare
il di fuori vivo e vegeto

Magari tenendomi fermi
i gomiti sul petto
e sorseggiandomi a noia
due dita di rhum e tutte le ore
di oggi

Finendo forse
a barcollare l’unghia
su dita di formica
recitando i passi dei gamberi

in quelle ore che nessuno dice
ma mi muoiono appresso
annoiandomi le branchie

proprio a me
che sono solo acqua
sotto quel fumo.

E mi dicevo
semmai ingrate si fossero dimostrate le ombre
che forse
un chissà domani
avrei potuto spolverare le ore di oggi

Io finalmente
argenteria fiera.

La trapezista stasera non vola

In questo vociare coriandoli
nessun cielo è il mio cielo
una tenda cucita e ricucita
scarti d’occorrenza
qui dove il solo riso che albergo
ha naso rosso e un pierrot per ogni guancia
due corde inquisite e magari lise
così da lasciarmi cadere
e nessun tappeto di gommapiuma
sotto il mio destino
ma diesis urlati precipitando
verticali corridoi
quattro facce di un cubo rotto
la mia vita
se è ieri il mio futuro.

Ma
chi lo dice
che non ha mai paura un trapezista?

Volo d’ombretto e piume
sarebbe il mio volo
e ripagato il solo soldo che costo

che valgo.

Pentagramma d'Assenza

 
brano "Cancion Triste" – New Flamenco Romance
già mi si sviliscono le labbra
sorrisi pelle ed ossa
un fischio e via l’ennesimo imperfetto
da giocare
un tavolo verde un binario e
parola

noi eravamo ieri e albe da dormire
sui primi muri di luce
le mattine che mi sei cielo nelle narici
e viole fresche a colazione

e questo di adesso sostare isolati d(’)istanti
mio unico reato possibile
intonando solo il mio solo assolo d’anima
pentagramma di cinque modiche dita
cinque assi nella manica

e barare l’inammissibile tua assenza
Re bemolle, delirio di tutto amore sei
e regina tua piccola piccola di cuori
io.

Eufemismo Inverso – La casa e il Raccoglitore

livide etichette
inchiostro nero seppia
slavato il nome
sul dorso del raccoglitore
grigio d’assenza
negli angoli muti
anelli caduti

bulimia di esili lacrime
l’indelebile impronta degli inverni
al fulmicotone e
freddo freddo freddo bianco
quei fogli a righe storte
per deragliarmi notti
e aurore impolverate
funambolando vetri

è solo un archivio solo
solo un archivio
adesso

Una noia mortale

Sono secoli
che vanno balbettando così
i tramonti di fine stagione
nelle stanze
muri di cartone da respirare
ore alterne ed echi
smerigliati sulle ipotenuse aperte
degli angoli

Ché se solo ci fosse un respiro
soffocherebbero tutti
questi spifferi squattrinati
da due lire per un bacio e
sempre asciutte le parole
bisbigliano di quando il buio
era luce nelle mattine di corsa
e matite appuntite che si fanno
cielo e casa
sui fogli ruvidi e bianchi

Ché
se solo ci fossero dita
ricalcherebbero profili
e longitudini
di questo vento sciroccato
senza nocche e campane
alla porta

da un vita.

Troppe noci per questo tavolo tarlato

Troppe rose imbalsamate
nei giardini di cartapesta, troppe noci
su questo tavolo tarlato

Dovrei tirare a lucido le labbra
– cromatina e sorrisi –
per questo pubblico pagante

applaudiranno
e chiederanno il bis dopo l’amaro
e ci sarà da morire dal ridere o forse
ci sarà da morire e basta perchè
verrà a mancare persino l’aria viziata
delle notti troppo sorde di fumo.

Si, ci sono troppe noci
su questo tavolo tarlato.

Non si direbbe ma piove anche sotto gli ombrelli

Era niente, sostare città
respirando lune intere di zolfo
sotto i marciapiedi e
il fracasso delle cattedrali
le notti che non dorme nessuno
Dovevo fermarmi
un minuto prima di ieri,
prima che venissero
a piovere i mille congiuntivi a dirotto
di questo cielo intubato
Prima di lasciarmi corrompere
con quattro nuvole lasciate a
scongelare appena sotto il sole

(e dire che non fa neanche
caldo oggi, sotto la pelle)

Era niente
tutto questo deglutire con le ginocchia
a carponi

tutti sassi che cammino.

Io, te e tutto questo paradiso

Stanze
dentro stanze
muri poco nuovi
e odori di vita
usata
sulle sedie barcollanti.
Il divano non è
davvero niente di speciale,
stoffa traslucida, azzurro elettrico
legno di mille calendari
nelle gambe senza ginocchia
e ancora mi chiedo come
potesse sostenere
un mondo intero
dentro
i misteri irrisolti
di nuvole che vedo sostare
reclinate, recitando sinagoghe
di sospiri
noi
pergolati di dita alle mani
e mai ultimo
l’ennesimo respiro
mai
p r e s c i n d i b i l i
io, te
e tutto questo
paradiso.

Fiori che non se ne può più

Fiori,
ipocrita formalità, questi fiori
sui davanzali sospettosi dei marmi
nostalgie a rendere e in
nome di dio
lavateli da quell’odore
di incenso scaduto
sui petali che non sanno che piangere
e recitano
il silenzio di un grido
che soffoca
dentro

E pensare che
non più di un’ora fa
erano un giardino di spose
da scartare
in ginocchio sui velluti
e tappeti rossi
di petali intatti
che non recidevano labbra

E solo fino a ieri
– credetemi –
li ho visti mangiarsi le foglie
di un autunno sui balconi
sorridendo gerani
come i bambini di dicembre e
mandorle sui tavoli.

Fiori,
fiori che non se ne può più
ipocrisie che pago
col peso dell’oro
nel cuore.

Fiori,
che non è vita
questa vita
fuori.

Bugia

L’ultima volta si dormiva sui palmi
ed era di flanella il sonno
e se non fosse per l’arroganza dei metri
con la fretta nelle caviglie, verrei
a farti il caldo nelle mani
castagne ad ottobre.

Sapessi com’è sbiadito il furore dagli occhi
forse per via della tramontana
che ci è passata in mezzo, ma non temere
il freddo era solo all’inizio, ora sembra
quasi pace. Quasi
pace.

Ed intanto che non mi sai
vorrei tanto giocassimo assieme
a recitare le foglie, tu con le tue
ed io me le invento
sulle palpebre scese.
O anche provare a inseguirci
dita di maglie nel vento, tane su un muro,
le vite che voglio
con te.

Intanto che non ci sono
tu non aspettarmi così, coi gomiti
sugli stipiti ruvidi delle attese
ché non tornano. Ed io non torno,
ma non te lo sto neanche a dire
che il cielo non può attendermi
e che questo è un paradiso muto
senza la tua voce.

Arrivo presto

come posso

come questa

Polaroid diciassette

In primo piano
c’è che un solequarantawatt
se ne sta incollato ai
silenzi pretestuosi delle quindici
masticando code e
cavallerie rusticane.

Lei
in contropiano
fascia imperativi con della garza
appena sopra il buio rotto
delle labbra e
girovaga trapezi con le dita
prescindendo lui
in un cappotto
ghiaccio e fumo di sigarette
ghiaccio e fumo
soltanto.

Più in là c’è chi corrompe
aquiloni con del vento nuovo
di zecca
e un branco, fuoripiano
rumina fuliggine
dietro muri di lenti scure
sudando camicie e monumenti
di braccia sul petto.

C’è che se stanno tutti fermi
dietro l’obiettivo
quando stringo il diaframma e

polaroid diciassette.

Anima e Anima – Volumetrie Pertinenti

La mia di rovere anima
buona di graniglia
vaniglia svestita di tutto punto
stracci di rosa sulle labbra incaute.

Guarda come se ne sta bianca la pelle
come se ne sta ferma
ozio che non muove dito, candela
che non trema luce.

Al centro, la di lui impronta nuda nuda
bello amore di anidridi sulla faccia
e iridi bucate, bello amore
palmi di risacca.

Sospiri e poi sospiri, respiri
che non sanno terraferma di
paradisi inversi tra le dune spigolose
della tramontana.

Guarda come me ne sto bella
bella odorosa madreperla, come
me ne sto amore
corazza di conchiglia.

ARIA: respiri dislessici in una stanza

l’aria è già vestita, l’aria

mi muore addosso, un respiro

lascia unghie nella gola, l’aria

ha sigarette accese,

una rete di fumo grigio

è grigio, tutto.

 

la tocco, l’aria,

con le dita prensili,

l’anulare barcollava

ubriaco d’oro, l’area della stanza

bianca, un angolo, la parete,

lo spigolo acuto.

 

la donna del quadro

ha le gambe aperte

e si conta i respiri

dentro i denti. è bionda,

minuta e ha un figlio, dentro.

ancora mezz’ora e urlerà, lei

e urlerà lui, un pianto, il primo

 

come il mio

che da allora, non ho più smesso

la voce. dovrei discernere

le vocali dai pugni, contro. l’aria

è già vestita, l’aria

ha la colla sulle labbra.

l'inizio, la fine e la vita in mezzo

ci vuole talento e pazienza, ci vuole

un silenzio, scivola lento, lente le ore,

cicche morsicate,

l’ultimo rintocco aveva voce roca,

dissentiva denti, digrignando che 

non vuole più dormire

e, non che sia rilevante, ma

le imposte erano chiuse

 

[un pettirosso beccava il vetro, aveva le ali]

 

una primavera fuori, fiori d’arancio,

foglie verdi, figlie da sposare,

unghie pittate sui corrimano, fermi

passi di raso. uno spago. la caviglia.

l’osso.

questi occhi non la smettono di nevicare.

non la smettono.

un inverno vale l’altro.

un attimo, un’ora, un anno

 

[il pettirosso moriva, aveva le ali]

 

un secolo prima, il vento

voleva, aveva gambe corte,

l’inverno, ossa di legno da interrare,

foglie, fuori è bel tempo,

figlie che fanno figli, un figlio,

gambe corte e ossa di legno

fiori a maggio, una vita, un giorno.

attimi. un grido che nasce non l’ho sentito

non voglio più dormire

la notte. un silenzio piange.

l’inizio, la fine e la vita in mezzo.