Io, la notte e tutte le notti, dopo

Musica di Einaudi

 

Ci vuole coraggio per respirare

troppa neve sulle costole, quest’inverno
che se solo mi sapessi davvero
lo sentirei questo vento
che mi sciarpa le labbra, zitte
 
le mani tremano e mi adopero
quello che posso, le dita,
intendo una marea sfinita
questo lasciare che sia, altrove
 
Altrove le stelle bruciano
le ho toccate, era notte
e c’erano carri che volavano le nuvole
ci sono cieli che non mi sanno
eppure stanno sulla testa
e mille rumori da scordare
sembrano passi,
 
quelli che ho lasciato
bandiera bianca sulla spiaggia
e un maggio che piangeva
mi implorava di restare
 
ginocchia al petto e un angolo solo
per sudare camicie di buio
io, la notte e tutte le notti, dopo.

l'inizio, la fine e la vita in mezzo

ci vuole talento e pazienza, ci vuole

un silenzio, scivola lento, lente le ore,

cicche morsicate,

l’ultimo rintocco aveva voce roca,

dissentiva denti, digrignando che 

non vuole più dormire

e, non che sia rilevante, ma

le imposte erano chiuse

 

[un pettirosso beccava il vetro, aveva le ali]

 

una primavera fuori, fiori d’arancio,

foglie verdi, figlie da sposare,

unghie pittate sui corrimano, fermi

passi di raso. uno spago. la caviglia.

l’osso.

questi occhi non la smettono di nevicare.

non la smettono.

un inverno vale l’altro.

un attimo, un’ora, un anno

 

[il pettirosso moriva, aveva le ali]

 

un secolo prima, il vento

voleva, aveva gambe corte,

l’inverno, ossa di legno da interrare,

foglie, fuori è bel tempo,

figlie che fanno figli, un figlio,

gambe corte e ossa di legno

fiori a maggio, una vita, un giorno.

attimi. un grido che nasce non l’ho sentito

non voglio più dormire

la notte. un silenzio piange.

l’inizio, la fine e la vita in mezzo.

ARIA: respiri dislessici in una stanza

l’aria è già vestita, l’aria

mi muore addosso, un respiro

lascia unghie nella gola, l’aria

ha sigarette accese,

una rete di fumo grigio

è grigio, tutto.

 

la tocco, l’aria,

con le dita prensili,

l’anulare barcollava

ubriaco d’oro, l’area della stanza

bianca, un angolo, la parete,

lo spigolo acuto.

 

la donna del quadro

ha le gambe aperte

e si conta i respiri

dentro i denti. è bionda,

minuta e ha un figlio, dentro.

ancora mezz’ora e urlerà, lei

e urlerà lui, un pianto, il primo

 

come il mio

che da allora, non ho più smesso

la voce. dovrei discernere

le vocali dai pugni, contro. l’aria

è già vestita, l’aria

ha la colla sulle labbra.

Qualcosa che posso fare

c’è una tristezza

che non ha voce, c’è.

soffio di girandola

la sera senza vento,

l’estate.

ginocchia sbucciate,

unghie nella bocca.

 

e volte che il silenzio

me lo sogno,

una tana di buio,

un buco

dove stendere i passi,

labbra rosse.

riposarle,

quando è freddo.

quando

non c’è da sperare

che piovano margherite

dispari

i pomeriggi di quasi maggio

vuoti come la schiena

delle barche

d’inverno

 

e il sorriso del cielo

ha cambiato i denti.

anche lui

,qualcosa che posso fare,

stingere

il buio, prima

col buio. dopo.

Non devo omettere di chiudere le porte

Sono qui,

questa stanchezza

non mi regge gli occhi

a stento una mezzanotte

qualsiasi, attese

che sudano il buio

 

Sono sempre io,

queste dita

scheletri che graffiano

il silenzio

e l’inventario dei passi

sulle soglie a vento

degli anni

 

Le stelle, stanotte

le spegnerà tutte,

una nuvola incinta

nevicando il fumo

di mille candeline

smorzate

 

e verranno a bussare

i coriandoli delle lune

lasciate

 

Ascoltami

,non ti ho mai detto,

ma funambolo il vento

le notti che non trovo

il mare.

Perchè un minuto, l'ho perso

musica di Ludovico Einaudi

le dita consumate

le ho lasciate sudate

davanti a quel portone

un numero civico e sabbia

 

perché un minuto, l’ho perso

e non ricordo neanche

che camicia di freddo

avesse quel maggio

 

e quella rosa

davanti alla porta di casa

tutta rossa e foglie verdi

 

che a vederla

avresti voluto coprirle le labbra

di baci

e invece le dissi ‘ti amo’ sulle mani

che già era notte

e dormiva

… la rosa ….

 

pensavo

magari un fiammero

di questo sonno senza voce

ne farei l’aria

che insegue le onde  un inverno

che c’era il sole

e i singhiozzi

quelli tristi, in gola

 

e la voce che manca

se l‘ingoiava il vento

o forse era solo rumore

questo cuore scalzo nel petto

che batteva

Eredità di silenzi sulle labbra

Eccolo, l’ennesimo specchio
forse il mio sogno spettinato
quasi figlio o mezzo grido
il primo dopo il silenzio
pianto di candela smorzata

Non vedo l’altra tua assenza
inconcepibile girino cieco
bocconi di buio lontano
acque acerbe incontinenti alla deriva
solo spirito, nulla, sei.

Insolente ironia eretica
non esservi carne
o voce
o passo.

E dell’unico possesso che dispongo
ti lascio il muto ghigno sordo, affranto
scellerata evanescenza
l’insostenibile carico di te

come le mie
altre anime che sperpero,
diramo.

se queste nuvole dovessero sciogliersi

Pensavo ai se
di quei se che ti fermi sui bordi
che cammini e ritornano memorie
di aquiloni
nelle dita prensili.

Di quei se 
che hanno il vento di marzo
in testa e ti trovano
ombrello di respiri bucati
se queste nuvole
dovessero sciogliersi
all’improvviso, mille e più
assenze nella sete di sale
sugli occhi
quell’attenderti di
povere stelle

Per quei se
dovendo ancora di niente vivere
se e solo se, questo cielo
dovesse scolorire, un giorno

berrei d’un sorso
tutti i veleni del mondo
in polvere di amnesie
perenni

per dormire
mille vite
ancora

Questo sconfinato evadersi, dentro

poi si evade
dentro i lucchetti seviziati
delle porte, dentro

ché mi è nuova persino
questa muta pelle estranea
come quella che diresti – altra –
andando

non so davvero
dove sia d’anima
questo cuore d’albero
di segni alla rovescia
uno per ogni giorno anulare
frattaglie d’ossa a goccia

direi dismesso
questo risostanco risoamaro
r i s o a m o r e

poi si resta
sempre mani dietro la schiena
e testa alla lavagna, sempre.

Non imparerò mai a giocare con le bambole

Millimetrica sutura

l’abitudine misurata dei respiri

anche una mezza volta di più

sarebbe tachicardia accertata

 

Tuttavia mi storpia

questa omonima sordità tesa

alle ginocchia

sedia barcollante da accomodare

un cuneo nel petto, forse

basterebbe

 

e magari

un appena accenno del capo

tra il dissentire

e promesse di montagne dritte

dritte

 

quando sono solo cieli lividi

quelli che stagno di bambola

r o m p e n d o m i

per poi rivendermi a pezzi

ognuno di me, singolo

 

e magari

un paradiso mi fosse sulle dita.

Le allodole si fanno belle sul mio sorriso affranto

tuttavia invisibili monotonie si fanno iride
percezioni di vuoto i buchi tutt’intorno

improbabili valutazioni
approssimative inflessioni affrante
eco soffiato appena di riso
e labbra tristi tristi

al di là
delle oreficerie spiumate sul dorso
che sfoggio – oro ed odio giallo fieno –
delirio delle allodole le mattine di aprile

e un bicchiere di sete alla mano

Evasione ennesima – Mi resto

mio malgrado,
tralascio i margini
di un foglio zitto
biasimandomi  
carne, ossa, casa,
chiesa di carta e un campanile
che fuma nebbie di zolfo
salmi in lacrima incendiata, dentro
 
cenere che piango
assurda ipocrisia del poco, forse
centimetri imbastiti di silenzio
millimetri di niente
.punti
arrivi, partenze
 
e un treno da lasciarsi alle spalle
dentro sciarpe verdi, consonanti
da fuggire
per non sapermi rotta,
mio malgrado
 
mi resto.

Eredità di silenzi sulle labbra

Eccolo, l’ennesimo specchio
forse il mio sogno spettinato
quasi figlio o mezzo grido
il primo dopo il silenzio
pianto di candela smorzata

Non vedo l’altra tua assenza
inconcepibile girino cieco
bocconi di buio lontano
acque acerbe incontinenti alla deriva
solo spirito, nulla, sei.

Insolente ironia eretica
non esservi carne
o voce
o passo.

E dell’unico possesso che dispongo
ti lascio il muto ghigno sordo, affranto
scellerata evanescenza
l’insostenibile carico di te

come le mie
altre anime che sperpero,
diramo.

se queste nuvole dovessero sciogliersi

Pensavo ai se
di quei se che ti fermi sui bordi
che cammini e ritornano memorie
di aquiloni
nelle dita prensili.

Di quei se 
che hanno il vento di marzo
in testa e ti trovano
ombrello di respiri bucati
se queste nuvole
dovessero sciogliersi
all’improvviso, mille e più
assenze nella sete di sale
sugli occhi
quell’attenderti di
povere stelle

Per quei se
dovendo ancora di niente vivere
se e solo se, questo cielo
dovesse scolorire, un giorno

berrei d’un sorso
tutti i veleni del mondo
in polvere di amnesie
perenni

per dormire
mille vite
ancora

Questo sconfinato evadersi, dentro

poi si evade
dentro i lucchetti seviziati
delle porte, dentro

ché mi è nuova persino
questa muta pelle estranea
come quella che diresti – altra –
andando

non so davvero
dove sia d’anima
questo cuore d’albero
di segni alla rovescia
uno per ogni giorno anulare
frattaglie d’ossa a goccia

direi dismesso
questo risostanco risoamaro
r i s o a m o r e

poi si resta
sempre mani dietro la schiena
e testa alla lavagna, sempre.

Non imparerò mai a giocare con le bambole

Millimetrica sutura

l’abitudine misurata dei respiri

anche una mezza volta di più

sarebbe tachicardia accertata

 

Tuttavia mi storpia

questa omonima sordità tesa

alle ginocchia

sedia barcollante da accomodare

un cuneo nel petto, forse

basterebbe

 

e magari

un appena accenno del capo

tra il dissentire

e promesse di montagne dritte

dritte

 

quando sono solo cieli lividi

quelli che stagno di bambola

r o m p e n d o m i

per poi rivendermi a pezzi

ognuno di me, singolo

 

e magari

un paradiso mi fosse sulle dita.

Le allodole si fanno belle sul mio sorriso affranto

tuttavia invisibili monotonie si fanno iride
percezioni di vuoto i buchi tutt’intorno

improbabili valutazioni
approssimative inflessioni affrante
eco soffiato appena di riso
e labbra tristi tristi

al di là
delle oreficerie spiumate sul dorso
che sfoggio – oro ed odio giallo fieno –
delirio delle allodole le mattine di aprile

e un bicchiere di sete alla mano

Evasione ennesima – Mi resto

mio malgrado,
tralascio i margini
di un foglio zitto
biasimandomi  
carne, ossa, casa,
chiesa di carta e un campanile
che fuma nebbie di zolfo
salmi in lacrima incendiata, dentro
 
cenere che piango
assurda ipocrisia del poco, forse
centimetri imbastiti di silenzio
millimetri di niente
.punti
arrivi, partenze
 
e un treno da lasciarsi alle spalle
dentro sciarpe verdi, consonanti
da fuggire
per non sapermi rotta,
mio malgrado
 
mi resto.