Dunque, tu
Tutte le cose che sei
le ho sempre davanti agli occhi
dunque, non sei mai altrove.
E’ come se mi fossi la voce
o l’udito
o una pupilla.
O, finalmente, tutte e due.
Tutte le cose che sei
le ho sempre davanti agli occhi
dunque, non sei mai altrove.
E’ come se mi fossi la voce
o l’udito
o una pupilla.
O, finalmente, tutte e due.
Se unisco la giusta quantità di farina
all’acqua e il lievito, salando il giusto
Se avrò cura di impastare
massaggiando
piano, senza fretta
curando l’attesa per la lievitazione
guardando il cielo
non avrò più fame.
In cucina, la felicità,
è una scienza esatta.
Incredula e non senza palpitazioni
Animabella Senzafronzoli guardava il cielo.
Le nuvole se la spassavano
nel mentre che i colori smettevano tinte
e abbozzavano smorfie
come se fosse la prima volta.
Poi, nel portarsi le mani sugli occhi
che la luce faceva scintilla
si vide sulla pelle le ore trascorse
a frugare un pezzo di cielo
in mezzo al buio. E capì che
tuttavia, non sono le cose a cambiare.
Nient’affatto.
E’ soltanto una questione di occhi.
(da “Le Mille e Una Me”)
Di tutto ciò che già era
è fatto il mondo
a meno del fatto
che le cose tutte di ieri
erano in bianco e nero.
Una vita immersa nell’amore
riceve una spinta dal basso
verso il cielo
pari al peso dell’amore versato.
E cambiando l’ordine
di questi e degli altri addendi
il risultato non cambia. Mai.
Eppure,nella brocca,
non c’era misura alcuna per la sete.
Si andava di goccia in goccia
fino alla fine del fiume
ingoiando, deglutendo
come se fosse l’ultimo
respiro del mondo.
O, forse, era solo per il buco esausto
strappato in fondo alla coscienza.
Fioresenza e Acquasete avevano un
diavolo per ombrello
sempre avvinghiate perse come erano
al riparo verticale dei palazzi
dove pioggia cade e cade
e solo quello.
Fino a quando tutti i rami
non vennero al pettine
e il vento non dispiegò più troppo
né troppo poco, la bocca della fame.
E spontaneamente profumarono gli avverbi
germogliando cartilagini d’ossa
ovunque si stesse.
E nessun luogo fu mai più invano.
(da “Le Mille e Una Me”)
Dopo l’avena, il trifoglio e il lupino
si attese finanche il maggese.
Poi, fu la semina, puntuale
non oltre il primo quarto di luna nuova
a novembre
dentro il vento che cambiava i colori.
I primi passi di freddo.
La neve. Il vino bollente.
Le ruggini, gli uccelli,
spaventapasseri ossuti di paglia
a scacciare.
Quando che dalla spiga al pane
non fu più una questione di coraggio.
Ma solo d’amore. A Luglio.
Nel mentre che crescevano
i capelli, Finalmentequercia
si accorse che dentro il silenzio
della solitudine
si nascondeva il respiro del mondo
sorprendendo tutti gli attimi
dispiaciuti di essere stati
incolti ed invisibili.
Soltanto fragilità di ossarami
fino ad allora troppo piccoli.
Quindi furono i giorni
e poi i mesi. E gli anni interi.
Secolari.
A dir poco inesorabile.
Così, senza mani
nelle mani, Misonscordatadite,
se ne stava drastica e inesorabile
come una nuvola:
appoggiata coi gomiti
sulle dimenticanze.
Come se tutte le materie
che gravavano fino a ieri
si fossero, semplicemente, consumate.
Come evaporate dentro i sospiri
esplosi e fatti evanescenza.
Nel mentre la vita trascorreva
ma non come i giorni.
Come un vento.
Parlo sempre con te,
specie quando non ci sei e stai altrove
dentro le tue ore comode, lontano da me
che ho uno spillo conficcato nella gola
ma ti parlo lo stesso
e più ti parlo e più fa male.
Quando non ci sei, annuisci
e dici di capirmi con la testa.
Qualche volta parli persino tu
e poi, mi fai d’amore,
quando non ci sei e stai altrove, da me.
Ma dopo tu arrivi e mi stai vicino
e diventi lontano come l’america
e se provo a parlare
mi ricalchi d’assenza la voce.
Quando tu arrivi e stai vicino a me
tu non ti rassomigli più.
e sappi che nella tua prossima lontananza,
ti racconterò di questa volta
che tu sei con me e non stai altrove
e che sto ferma e zitta
tutto il tempo che mi fai
mi fai il buio dentro
adesso che sei con me
e non sei. Altrove.
A questo punto della tua assenza
non posso più tenerti sul cuore
carissimo amore.
Riserverò per te soltanto
un posto d’onore sul fegato
a una manciata di centimetri
dal pancreas.
Tra la bile e le tossine, sono certa
sarai come a casa.
Le saracinesche hanno il mestiere
della puntualità:
aprono come chiudono, spietate.
Sognasempre Checampacavallo le conosce bene.
Ogni mattina per lei
è troppo presto per vivere
e la sera è troppo tardi, quasi ieri.
Quando torna a casa
non scioglie più i capelli
e procede a memoria sulle cose di ieri
a tempo coi semafori.
(I moscerini le si attaccano agli occhi
guardando fisso sempre avanti)
Certe nuvole non la finiscono mai
di frignare dove non devono.
E questo è solo il preambolo.
La pagina successiva è un
accovacciarsi fragile di attimi
fintanto che si punta il cielo col naso
e si bersagliano rondini
le mie tutte care croci
che neanche per questa volta
s’indigneranno. Misere loro.
Misera me
che non avevo che occhi, non avevo
che questi per sbagliare strada.
Mezzibuchi, forse vergini.
A dismisura.
Col mio Amo infilzato di vermi
mi sono seduta in riva ai tuoi occhi
ma ho pescato solo scarpe rotte.
E sempre dispari.
Solo poi
ho compreso che i pesci
erano finiti in fondo alla notte
dall’altra parte del sonno.
Dove è perfetta la luce.
Nel mentre che sono
le tutte bambole divelte dal vento
che è passato di qua. Senza bussare.
Dietro una porta, sto
dentro il mio stesso pugno
tutta nuda e piccolissima,
anche.
A volte neanche busso
e respiro il meno che posso.
Casomai arrivi qualcuno.
Casomai a qualcuno serva l’aria.
Aspetto, semplicemente aspetto,
un vento con le spalle larghe
che chieda al posto mio
di aprire
senza dover necessariamente dire
fare, baciare, perfavore
o ringraziare, declinando
l’impossibile con la mia testa
Ché è molto freddo, qui.
Molto freddo.
Al milionesimo giro
le cose dentro le pupille
si fecero stanche
quasi da dirsi indolenti.
Certe volte si rompono
altre volte tentano coesioni improbabili
insieme ai sospiri.
Dallo specchio incrinato da dove guardo
le parole non lasciano più segni
e non vado neanche più con le dita
a infierire sull’affanno.
E’ evidente:
l’usura fa diventare le cose fragili.
Guarda
distiamo quanto basta per essere identici
e paralleli. Quindi impossibili.
Praticamente due gocce d’acqua.
Amor che quando puoi io non ho
e forse potremmo, ma quando
e dove. Forse vado
se tu non vieni.
Si può persino soffocare di nubi.
«Mi passi il sale?»
___________«Certo, ti amo anch’io»
«In effetti, non era poi così sciapa»
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