PERLE
Strano, come si spezzino i fili
e le perle rotolino
inesorabili.
E non accade mai
di ritrovarle tutte.
Strano, come si spezzino i fili
e le perle rotolino
inesorabili.
E non accade mai
di ritrovarle tutte.
E’ stato un attimo naufrago
tra il dire ed il fare delle ore
che vanno e intanto vivo e
ho creduto di vedere di nascosto
il fantasma delle nostre labbra
di stanotte, di sempre, di mai
girare l’ultimo spigolo di strada e
intanto vivo parole che non oso
in questo confinarti sulle note
a margine ora che attendo
pupille per aria sostando
sospiri e intanto
vivo e tu non negarmi
non rinnegarmi anzi
trascendimi e trascendimi ancora
contrasto di iridi e pelle
ora che tutto va come deve
partire baci di dita alla mano
da tutta me dal treno dal mai
trascorrimi ancora ora
e intanto vivo
Frana di anche bionde
sui divani da costiera di velluto
e sulle nuche impomatate
chanel numero cinque
ubriaca le camelie.
E chissà
se dietro il sipario muto
di labbra millenovecentotrenta
– tra alibi di palmi sulla fronte
e vele di fazzoletti
tra gli scogli in rosso smalto
al negativo di pellicola –
– mi chiedo –
chissà se hanno mai mandato a fanculo la Garbo!
sarà di sbieco che lascerò andare gli occhi
aspettando cornamuse di voci
pioggiare sulla testa
e sempre vuota questa mestizia
incredula, incauta.
sulle labbra
scucite saranno tutte le preghiere
un gregge solo al pascolo
ed io la guardia
una carabina sorda, la mia mano
come il buio delle mille lucciole assenti
trapassate e poi risorte, nuove
ché uno sparo d’indice,
mi uccise il tramonto invaso alle spalle
– di me che non immaginavo gli angeli –
e provavo a divagare le mani
e poi le mani,
le mani sulla mia voce muta
Musica "Giochi proibiti"
Musica di Eiunadi
Il domicilio era un francobollo appena affrancato
tracce di inchiostro simpatico e poi il vuoto.
C’era una volta,
di muschi e licheni, fra il vento e una pausa, la casa.
Era polistirolo il pianto soffiato sui muri.
Era un giocattolo stanco per soli adulti, soli.
Era un soppalco di povere travi lacere e intonaco a pezzi.
La mia pelle era uguale, non a caso, quella, era la mia casa.
E c’erano tarli nel legno con lo stomaco di fame.
C’erano stipiti in lacrime sotto le suole di cuoio.
I mobili avevano un sorriso strano sulla faccia.
Un sorriso immobile.
Fermo.
Come il pianto delle madonne nelle processioni di pasqua.
Niente di irripetibile.
Tutto monotonamente uguale alla vita.
Il resto, lo dico vivendo, dall’alto di questi cuscini di noia
e un bicchiere di veleno sul comodino.
Eccolo, l’ennesimo specchio
forse il mio sogno spettinato
quasi figlio o mezzo grido
il primo dopo il silenzio
pianto di candela smorzata
Non vedo l’altra tua assenza
inconcepibile girino cieco
bocconi di buio lontano
acque acerbe incontinenti alla deriva
solo spirito, nulla, sei.
Insolente ironia eretica
non esservi carne
o voce
o passo.
E dell’unico possesso che dispongo
ti lascio il muto ghigno sordo, affranto
scellerata evanescenza
l’insostenibile carico di te
come le mie
altre anime che sperpero,
diramo.
Pensavo ai se
di quei se che ti fermi sui bordi
che cammini e ritornano memorie
di aquiloni
nelle dita prensili.
Di quei se
che hanno il vento di marzo
in testa e ti trovano
ombrello di respiri bucati
se queste nuvole
dovessero sciogliersi
all’improvviso, mille e più
assenze nella sete di sale
sugli occhi
quell’attenderti di
povere stelle
Per quei se
dovendo ancora di niente vivere
se e solo se, questo cielo
dovesse scolorire, un giorno
berrei d’un sorso
tutti i veleni del mondo
in polvere di amnesie
perenni
per dormire
mille vite
ancora
poi si evade
dentro i lucchetti seviziati
delle porte, dentro
ché mi è nuova persino
questa muta pelle estranea
come quella che diresti – altra –
andando
non so davvero
dove sia d’anima
questo cuore d’albero
di segni alla rovescia
uno per ogni giorno anulare
frattaglie d’ossa a goccia
direi dismesso
questo risostanco risoamaro
r i s o a m o r e
poi si resta
sempre mani dietro la schiena
e testa alla lavagna, sempre.
Millimetrica sutura
l’abitudine misurata dei respiri
anche una mezza volta di più
sarebbe tachicardia accertata
Tuttavia mi storpia
questa omonima sordità tesa
alle ginocchia
sedia barcollante da accomodare
un cuneo nel petto, forse
basterebbe
e magari
un appena accenno del capo
tra il dissentire
e promesse di montagne dritte
dritte
quando sono solo cieli lividi
quelli che stagno di bambola
r o m p e n d o m i
per poi rivendermi a pezzi
ognuno di me, singolo
e magari
un paradiso mi fosse sulle dita.
tuttavia invisibili monotonie si fanno iride
percezioni di vuoto i buchi tutt’intorno
improbabili valutazioni
approssimative inflessioni affrante
eco soffiato appena di riso
e labbra tristi tristi
al di là
delle oreficerie spiumate sul dorso
che sfoggio – oro ed odio giallo fieno –
delirio delle allodole le mattine di aprile
e un bicchiere di sete alla mano
Strano, come si spezzino i fili
e le perle rotolino
inesorabili.
E non accade mai
di ritrovarle tutte.
E’ stato un attimo naufrago
tra il dire ed il fare delle ore
che vanno e intanto vivo e
ho creduto di vedere di nascosto
il fantasma delle nostre labbra
di stanotte, di sempre, di mai
girare l’ultimo spigolo di strada e
intanto vivo parole che non oso
in questo confinarti sulle note
a margine ora che attendo
pupille per aria sostando
sospiri e intanto
vivo e tu non negarmi
non rinnegarmi anzi
trascendimi e trascendimi ancora
contrasto di iridi e pelle
ora che tutto va come deve
partire baci di dita alla mano
da tutta me dal treno dal mai
trascorrimi ancora ora
e intanto vivo
Frana di anche bionde
sui divani da costiera di velluto
e sulle nuche impomatate
chanel numero cinque
ubriaca le camelie.
E chissà
se dietro il sipario muto
di labbra millenovecentotrenta
– tra alibi di palmi sulla fronte
e vele di fazzoletti
tra gli scogli in rosso smalto
al negativo di pellicola –
– mi chiedo –
chissà se hanno mai mandato a fanculo la Garbo!
sarà di sbieco che lascerò andare gli occhi
aspettando cornamuse di voci
pioggiare sulla testa
e sempre vuota questa mestizia
incredula, incauta.
sulle labbra
scucite saranno tutte le preghiere
un gregge solo al pascolo
ed io la guardia
una carabina sorda, la mia mano
come il buio delle mille lucciole assenti
trapassate e poi risorte, nuove
ché uno sparo d’indice,
mi uccise il tramonto invaso alle spalle
– di me che non immaginavo gli angeli –
e provavo a divagare le mani
e poi le mani,
le mani sulla mia voce muta
Musica "Giochi proibiti"
Musica di Eiunadi
Il domicilio era un francobollo appena affrancato
tracce di inchiostro simpatico e poi il vuoto.
C’era una volta,
di muschi e licheni, fra il vento e una pausa, la casa.
Era polistirolo il pianto soffiato sui muri.
Era un giocattolo stanco per soli adulti, soli.
Era un soppalco di povere travi lacere e intonaco a pezzi.
La mia pelle era uguale, non a caso, quella, era la mia casa.
E c’erano tarli nel legno con lo stomaco di fame.
C’erano stipiti in lacrime sotto le suole di cuoio.
I mobili avevano un sorriso strano sulla faccia.
Un sorriso immobile.
Fermo.
Come il pianto delle madonne nelle processioni di pasqua.
Niente di irripetibile.
Tutto monotonamente uguale alla vita.
Il resto, lo dico vivendo, dall’alto di questi cuscini di noia
e un bicchiere di veleno sul comodino.
Tema Seamless Just Pretty, sviluppato da Altervista
Apri un sito e guadagna con Altervista - Disclaimer - Segnala abuso