Tratteggio di una notte puttana

Il verbo si aggira per i bassifondi incestuosi di
questa alba da mille e un’insonnia e
mi verrebbe di corrergli dietro
a quattro zampe come i cani
che inseguono per la coda il vento
ed è notte dietro i sipari.

Intanto ad un incrocio qualsiasi
Gnuma ride ma non lo sa neanche
ha gambe storte, troppo magra
per reggersi in piedi e poi a quest’ora
dormire sarebbe un miracolo
e i miracoli non hanno la pelle scura
e penso: Chissà quante Gnuma
si nascondono dietro i vetri delle macchine
e non le vedo.

Quasi, quasi me ne torno nella tana
a fare il verso a questa luna di traverso

Chissà se adesso Gnuma ride.
O dorme.

Tratteggio di una visita medica

Le luci nelle stanze dei medici
sono bianche_bianche, sempre
come la faccia di certe mattine
dopo una notte bevuta nei palmi delle mani
e l’acqua è ruggine per il fegato
E poi quelle lettighe della serie: “si sdrai e dica trentatre
sono gli anni di cristo e forse io sto morendo e, cortesemente,
favorisca il suo codice fiscale”
Pretende di sentirmi battito
scandagliandomi il petto
con uno stetoscopio datato
millenovecentosessantacinque
regalo di laurea dallo zio di molto molto
lontano e chissà se, in battere e levare,
gli arriva il nome mio
in fondo, sto morendo io
forse.

non ha più maiuscole il dio di questo cielo

non ha più maiuscole il dio di questo cielo

che continua a eiaculare neve

sui fiori in letargo e insufficienza di unghie

a grattare la fortuna di questo silenzio

doppio strato. e inizio a prendere

in seria considerazione l’idea di

disertare una volta per tutte

il palcoscenico muto delle ombre

stampate sui muri quando il sole è basso

e si vorrebbe armare la terra di filo spinato

e mangiare ortiche a colazione e dormire spilli

in ergastolo e ingoiare anidridi e aspettare

tre giorni dentro un frigo spento e marcire

d’assenza nel tallone d’achille e funambolare

lancette al quarzo sotto la luna piena di

vuoto aspettando semplicemente che non

faccia giorno.

domani.

Argento Novecentoventicinque

L’abatjour polemizza
ombre in
controluce di vuoti
a rendere

e forse un caffè
mi risolverebbe il sonno
nelle porcellane
livide di polvere
e memoria di vetro
nelle vene

di queste ore intransitive
tergiversate
a piè di pagina
aspettando l’attimo
senza attrito
venirmi addosso

io e un vassoio
argento novecentoventicinque.

Mia madre mi voleva ballerina

L’oroscopo di domani
non promette nulla di buono
e raggirare le clessidre
adesso
sarebbe poco più che
improvvisarmi cancello
di lance arrotate

io e l’inesorabile colpa
di mille nuvole trafitte.

A sinistra
una maglia siede
un dìndolo di sonno
gomitoli di noia e
aria scaduta
scenografia semiseria
queste pareti bianche

e a destra
l’occhio di mia madre
aspetta un volo di tulle
e scarpe per punte
ballerine.

Anima e Anima – Volumetrie Pertinenti

La mia di rovere anima
buona di graniglia
vaniglia svestita di tutto punto
stracci di rosa sulle labbra incaute.

Guarda come se ne sta bianca la pelle
come se ne sta ferma
ozio che non muove dito, candela
che non trema luce.

Al centro, la di lui impronta nuda nuda
bello amore di anidridi sulla faccia
e iridi bucate, bello amore
palmi di risacca.

Sospiri e poi sospiri, respiri
che non sanno terraferma di
paradisi inversi tra le dune spigolose
della tramontana.

Guarda come me ne sto bella
bella odorosa madreperla, come
me ne sto amore
corazza di conchiglia.

Polaroid diciassette

In primo piano
c’è che un solequarantawatt
se ne sta incollato ai
silenzi pretestuosi delle quindici
masticando code e
cavallerie rusticane.

Lei
in contropiano
fascia imperativi con della garza
appena sopra il buio rotto
delle labbra e
girovaga trapezi con le dita
prescindendo lui
in un cappotto
ghiaccio e fumo di sigarette
ghiaccio e fumo
soltanto.

Più in là c’è chi corrompe
aquiloni con del vento nuovo
di zecca
e un branco, fuoripiano
rumina fuliggine
dietro muri di lenti scure
sudando camicie e monumenti
di braccia sul petto.

C’è che se stanno tutti fermi
dietro l’obiettivo
quando stringo il diaframma e

polaroid diciassette.

Bugia

L’ultima volta si dormiva sui palmi
ed era di flanella il sonno
e se non fosse per l’arroganza dei metri
con la fretta nelle caviglie, verrei
a farti il caldo nelle mani
castagne ad ottobre.

Sapessi com’è sbiadito il furore dagli occhi
forse per via della tramontana
che ci è passata in mezzo, ma non temere
il freddo era solo all’inizio, ora sembra
quasi pace. Quasi
pace.

Ed intanto che non mi sai
vorrei tanto giocassimo assieme
a recitare le foglie, tu con le tue
ed io me le invento
sulle palpebre scese.
O anche provare a inseguirci
dita di maglie nel vento, tane su un muro,
le vite che voglio
con te.

Intanto che non ci sono
tu non aspettarmi così, coi gomiti
sugli stipiti ruvidi delle attese
ché non tornano. Ed io non torno,
ma non te lo sto neanche a dire
che il cielo non può attendermi
e che questo è un paradiso muto
senza la tua voce.

Arrivo presto

come posso

come questa

Fiori che non se ne può più

Fiori,
ipocrita formalità, questi fiori
sui davanzali sospettosi dei marmi
nostalgie a rendere e in
nome di dio
lavateli da quell’odore
di incenso scaduto
sui petali che non sanno che piangere
e recitano
il silenzio di un grido
che soffoca
dentro

E pensare che
non più di un’ora fa
erano un giardino di spose
da scartare
in ginocchio sui velluti
e tappeti rossi
di petali intatti
che non recidevano labbra

E solo fino a ieri
– credetemi –
li ho visti mangiarsi le foglie
di un autunno sui balconi
sorridendo gerani
come i bambini di dicembre e
mandorle sui tavoli.

Fiori,
fiori che non se ne può più
ipocrisie che pago
col peso dell’oro
nel cuore.

Fiori,
che non è vita
questa vita
fuori.

Io, te e tutto questo paradiso

Stanze
dentro stanze
muri poco nuovi
e odori di vita
usata
sulle sedie barcollanti.
Il divano non è
davvero niente di speciale,
stoffa traslucida, azzurro elettrico
legno di mille calendari
nelle gambe senza ginocchia
e ancora mi chiedo come
potesse sostenere
un mondo intero
dentro
i misteri irrisolti
di nuvole che vedo sostare
reclinate, recitando sinagoghe
di sospiri
noi
pergolati di dita alle mani
e mai ultimo
l’ennesimo respiro
mai
p r e s c i n d i b i l i
io, te
e tutto questo
paradiso.

Un colpo che non era a salve

Qui, le conchiglie non traducono
le declinazioni del vento
e le ore sono ergastolani
agli arresti domiciliari .

Il cielo è una zebra che semina
vizi e noia con la zampa destra
e annoderei lenzuola in fila
per tentare la fuga da questi sorrisi
parzialmente scremati, se non fosse
per le sbarre così strette.

Non rumino più ruggine di porte
aperte.
Resto, cos’altro posso fare, poi?

Aspettare, qui
è una corsa morta
sulla linea di partenza

e il colpo non era a salve.

Non si direbbe ma piove anche sotto gli ombrelli

Era niente, sostare città
respirando lune intere di zolfo
sotto i marciapiedi e
il fracasso delle cattedrali
le notti che non dorme nessuno
Dovevo fermarmi
un minuto prima di ieri,
prima che venissero
a piovere i mille congiuntivi a dirotto
di questo cielo intubato
Prima di lasciarmi corrompere
con quattro nuvole lasciate a
scongelare appena sotto il sole

(e dire che non fa neanche
caldo oggi, sotto la pelle)

Era niente
tutto questo deglutire con le ginocchia
a carponi

tutti sassi che cammino.

Troppe noci per questo tavolo tarlato

Troppe rose imbalsamate
nei giardini di cartapesta, troppe noci
su questo tavolo tarlato

Dovrei tirare a lucido le labbra
– cromatina e sorrisi –
per questo pubblico pagante

applaudiranno
e chiederanno il bis dopo l’amaro
e ci sarà da morire dal ridere o forse
ci sarà da morire e basta perchè
verrà a mancare persino l’aria viziata
delle notti troppo sorde di fumo.

Si, ci sono troppe noci
su questo tavolo tarlato.

Una noia mortale

Sono secoli
che vanno balbettando così
i tramonti di fine stagione
nelle stanze
muri di cartone da respirare
ore alterne ed echi
smerigliati sulle ipotenuse aperte
degli angoli

Ché se solo ci fosse un respiro
soffocherebbero tutti
questi spifferi squattrinati
da due lire per un bacio e
sempre asciutte le parole
bisbigliano di quando il buio
era luce nelle mattine di corsa
e matite appuntite che si fanno
cielo e casa
sui fogli ruvidi e bianchi

Ché
se solo ci fossero dita
ricalcherebbero profili
e longitudini
di questo vento sciroccato
senza nocche e campane
alla porta

da un vita.

Eufemismo Inverso – La casa e il Raccoglitore

livide etichette
inchiostro nero seppia
slavato il nome
sul dorso del raccoglitore
grigio d’assenza
negli angoli muti
anelli caduti

bulimia di esili lacrime
l’indelebile impronta degli inverni
al fulmicotone e
freddo freddo freddo bianco
quei fogli a righe storte
per deragliarmi notti
e aurore impolverate
funambolando vetri

è solo un archivio solo
solo un archivio
adesso

Pentagramma d'Assenza

 
brano "Cancion Triste" – New Flamenco Romance
già mi si sviliscono le labbra
sorrisi pelle ed ossa
un fischio e via l’ennesimo imperfetto
da giocare
un tavolo verde un binario e
parola

noi eravamo ieri e albe da dormire
sui primi muri di luce
le mattine che mi sei cielo nelle narici
e viole fresche a colazione

e questo di adesso sostare isolati d(’)istanti
mio unico reato possibile
intonando solo il mio solo assolo d’anima
pentagramma di cinque modiche dita
cinque assi nella manica

e barare l’inammissibile tua assenza
Re bemolle, delirio di tutto amore sei
e regina tua piccola piccola di cuori
io.

La trapezista stasera non vola

In questo vociare coriandoli
nessun cielo è il mio cielo
una tenda cucita e ricucita
scarti d’occorrenza
qui dove il solo riso che albergo
ha naso rosso e un pierrot per ogni guancia
due corde inquisite e magari lise
così da lasciarmi cadere
e nessun tappeto di gommapiuma
sotto il mio destino
ma diesis urlati precipitando
verticali corridoi
quattro facce di un cubo rotto
la mia vita
se è ieri il mio futuro.

Ma
chi lo dice
che non ha mai paura un trapezista?

Volo d’ombretto e piume
sarebbe il mio volo
e ripagato il solo soldo che costo

che valgo.

Una tenda e fiori in erba

Ha un che di sofisticato questa tenda
fiori in erba e odore di cielo
e mi dissi se fosse il caso
concedermi lo sbirciare
il di fuori vivo e vegeto

Magari tenendomi fermi
i gomiti sul petto
e sorseggiandomi a noia
due dita di rhum e tutte le ore
di oggi

Finendo forse
a barcollare l’unghia
su dita di formica
recitando i passi dei gamberi

in quelle ore che nessuno dice
ma mi muoiono appresso
annoiandomi le branchie

proprio a me
che sono solo acqua
sotto quel fumo.

E mi dicevo
semmai ingrate si fossero dimostrate le ombre
che forse
un chissà domani
avrei potuto spolverare le ore di oggi

Io finalmente
argenteria fiera.

Sembianze Indisciplinate

Un lanternino
smaglia il buio acido
inquisendo labbra
ormai poco più
che notte fonda
sulle spalle ingolfite
 
e stare a trafugare alibi
dagli indici sazi
sarebbe come cercare
l’esatta disciplina
di queste onde trascurate
tridimensionali di quel solo
che basta a farmi obesa
 
probabilmente
cieca fisionomia d’iride
allo specchio
e latitanza d’ossa
 
dentro.

Sembianze Indisciplinate

C’è che un lanternino
smaglia il buio acido
-anticipando-
questa di me ombra
E’ pressapoco notte, e fonda,
spessa, sulle spalle ingolfite
inquisite da un sì barlume fioco.

 

E stare a trafugare alibi
dagli indici sazi
sarebbe come cercare
l’esatta disciplina
di queste onde trascurate
tridimensionali di quel solo
che basta a farmi obesa

probabilmente
cieca fisionomia d’iride
allo specchio
e latitanza d’ossa