CHERNOBYLOVE in libreria

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CHERNOBYLOVE – il giorno dopo il vento – ©2010 Casa Editrice Kimerik

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Francesca Pellegrino
Chernobylove – Il giorno dopo il vento
©2010 Casa Editrice Kimerik

il giorno dopo il vento
CHERNOBYLOVE - il giorno dopo il vento

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Nota di lettura: Alfredo de Palchi
Prefazione – Giuseppe Panella
Copertina – “Resti su di me” – fotografia di Paola Aloisio

In “Chernobylove – Il giorno dopo il vento”, il dono della sintesi si appropria della realtà, a passi scalzi. Come a entrare di soppiatto, teneramente e con crudele verità, nella “stanza” compositiva del verso poetico. Ed è un verso tremendo, frutto di una personalità dilaniata dalle “bellezze” e dalle “sicurezze” della società postmoderna.

Il book trailer

Merd@

Non ci sorprendano il sudore
la spinta
la contrazione fino all’osso
la lacerazione, il pianto.

Che non ci sorprendano neanche
il grido, lo stridere dei denti
forte allo spasmo

che e’ così che si nasce.

Nel nido degli aquiloni alla fine del vento

Lo ricordo bene
era giorno
(o forse notte, visto che la luce faceva quattro copie di me
per terra )
ed era caldo
(o forse era inverno perché stringevo qualcosa tra me e me e non
aveva peso )

e qualcuno
(si uno qualsiasi nella folla in quella piazza
al centro del nulla)
mi diceva che costruiva cattedrali
su cattedrali e che sono alte le gru
tanto che il cielo
lo vedi sbirciare dalle tende
ammesso che non piova
ammesso che non guardi sotto
e il mondo non ha che
cinque dita per mano – nel migliore dei casi

e che le nuvole, sopra
le aveva dipinte lui
a Notre Dame un giorno
che Esmeralda gli disse – ti amo

e poi
si fece buio – all’improvviso –
(o forse un temporale che, non so come, non so quando,
spense le luci )
e lo vidi andare via
nella folla in quella piazza da dove veniva

nel nido degli aquiloni
alla fine del vento.

Un uomo che ha perso l'asfalto

Sui gradini, potrei tenere un monologo
di quelli con i riflettori puntati addosso e
sette camicie da sudare – ma non importa –
perché tutti ti pendono dalle labbra e
aspettano solo una pausa
– la mia pausa – per respirare

Ho provato
a contarli un giorno
che ho perso le dita
dietro un cartone di vino
e inciampavo il fiato nelle caviglie

ma niente da fare
arrivavo a dieci e le vocali
tentavano il suicidio
sulle alzate di marmo
e puntualmente ci riuscivano.

Ed è inutile
– irrimediabilmente inutile –
tentare di ricorrere al corrimano: finirei
col guardare sotto
e guai a guardare sotto.

Un mio amico c’è rimasto secco,
gli porto ancora fiori ogni domenica.

E non crediate che io sia pazzo!
in quel caso indosserei una
camicia bianca doppiogiro
di lacci sul petto

Sono solo uno che ha perso l’asfalto
ed è soltanto un caso
che non sia stato per strada.

Una sedia

Le rose erano più rosse del sangue
e lui mi sedeva sopra.

Cosa guardasse
non mi è dato di sapere
so che l’odore dei fiori era forte
che stordiva

So che c’èra un letto
e che non era vuoto
che c’erano lenzuola
e non erano fresche di bucato.

So che c’era morto qualcuno
e che piovevano lacrime
sull’alluminio delle mie gambe.

Sono una sedia
e ho visto il granito sfiorire.

Tratteggio di un tradimento

Se ci fossero state delle vocali
sono certo
avrebbero ansimato.

Non c’era nessuno
eppure c’erano orme di
ombre fresche
sui muri bianchi

e anche se non posso giurarlo
l’aria era stata viziata da poco
da sospiri clandestini
col peccato arrogante
tatuato sulla bocca.

Erano due
un uomo, lui
– lo so, io – e lei
la mia donna.