L'ora illegale

Orologi sciolti - Salvador Dalì
Orologi sciolti – Salvador Dalì

Hanno iniziato
portando avanti gli orologi
appena di un’ora. A pena.
L’alibi, è stato
il risparmio energetico.
Come se si trattasse di qualcosa
da gestire, ottimizzando.
Poi, hanno reso impossibili le ore
in una corsa di fegato e cuore.
Fegato e cuore. Al macello. Con un badge
per segnalare eventuali quanto
improbabili assenze.
Gli uteri, di conseguenza
sono quasi tutti impazziti
come le lancette nei pantaloni
dei maschi. E le Regole.

Riproduzioni

Questo mio saperti a memoria
non consente mai alla tua assenza
di palesarsi.
Così, mi tempero gli occhi,
vado di ricalco sul tratto
e, magicamente, diventi.
Anche quando ho solo forbici
dentro le mani.

Un pazzo da legare

Di quelle pareti bianche
non mi è mai importato nulla
piuttosto, era l’odore sterile
dei camici bianchi
che mi ubriacava
e senza accorgermene
mi ritrovavo le labbra accostate tutte su un lato

u n o s o l o

e non riuscivo a parlare
neanche a deglutire – se proprio devo dirla tutta –
tanto che rigavo trasparenze sul mento
e non c’era più aria
perché mi ritrovavo a nuotare con le mani
come quando giocavo a fare onde sul mare
ed ero io il vento
ma nessuno mi credeva

La fame non ha mai denti buoni

E’ la stessa storia di sempre
e non se ne esce.
Ne ho quasi vergogna
come parlare che a volte
è un vizio inutile.
Per questo mi rattristano
non poco
queste mani composte sul tavolo
una candela tutta consumata
e al centro
due olive nere nel piatto.
Le stesse di ieri, solo più magre
una per te ed una per me.
E poi silenzi
per mangiarne una settimana intera.
E mi dispiace moltissimo
saperci imbalsamati
sulle nostre grucce regolabili
digiunandoci parole.
Sembriamo due cappotti smessi
da qualcuno più grande di noi.
Ed io l’ho capito
che il mio non mi sta mica bene
sfiorisce male sulle ginocchia
facendomi più alta
di come poi non sono.
Mai stata.

Qualcosa è cambiato

8 ragazza_davanti_allo_specchio
Ragazza di fronte allo specchio, 1932, Picasso

La goccia che cade dal rubinetto
si fa donna.
Ha il seno nuovo di zecca
e le gambe con le calze si seta

Esenzanome si da del lei
ha dimesso l’ennesimo strato di pelle
ancora un altro e resterà sola
si chiede quanto smalto ancora
le nasconderà l’unghia sul cuore
.quanto

Intanto qualcosa è cambiato

ha il seno cadente, stelle che stanotte
sono un delirio di mosche bianche
e le coperte somigliano alle
pietre impietose dei santi.
lo specchio se ne sta zitto
mente il silenzio sugli occhi.

Come ieri che
le giurava la stessa faccia
ed era un bambina

Stars

Siamo quello che siamo
macerie di decenza.
Alla fine
c’è soltanto un unico sole
e ogni tanto qualche pianeta
qualche piccolo stupidissimo pianeta
che ci si illumina e
s’improvvisa stella .o poeta.
Del resto
anche Hitler suonava il violino.

Forever

E’ la solita questione
dei numeri periodici.
Quei numeri infinitamente
indefiniti
eppure razionali.
Di quelli che
ad ogni divisione
si prendono il resto e se
lo mettono sopra. Una barra
drittissima in testa
per dire che non finisce mai
non si finisce mai di
morire.

Pi greco

I miei maschi sono cerchi concentrici
ognuno, un nome diverso
ma con la stessa identica faccia
di mio padre
che mi guarda e dice che è sempre poco
ciò che posso.

Cado sempre sullo stesso centro
perpendicolare e compiuta
quasi da dirmi in piedi

e distante un raggio più lungo
delle mie braccia.

Privazioni

Tengo aquiloni in ostaggio
giù nella mia cantina.
Almeno fintanto che avrò
denaro sufficiente a pagarmi
il riscatto.
Ogni tanto scendo
e lascio un sorso di vento
vicino alle loro catene.
E vado via
solo quando hanno smesso la sete
con la coscienza pulita.

Il cielo finisce qui

È buona norma
che le cose abbiano un nome.
Se dico acqua
è la sete che parla alle labbra.

A volte
ho una solitudine dentro
e la chiamerei assenza.
Un vuoto che doppia le impronte di sabbia
di qualche vita fa
di me e la solita stella di sempre
una scoria di luce negli occhi
lasciata imbrunire

una calma piatta indossata per forza
come il vestito smesso di una sorella più grande
che arriva troppo corto alle ginocchia.

E questo cielo
che ha fermato le lancette
dimenticando di dimenticare.

Raccomandazioni

Il migliore dei casi
è una tavola da riassettare
dalle cose di ieri
ricordando di comprare lo zucchero
più tardi
ed anche il pane e le
sigarette. E raccomandare
a mio figlio
di non tenersi mai silenzi
sul cuore
e di mettersi la maglia di lana
d’inverno.

Ché poi arriva l'equinozio delle rondini

Ché poi è un mistero, lo stupore
di come non si smette mai di nascere
eppure grembi di madri si fanno gomiti di spazio
nel ventre dell’aria e pochi altri spiccioli

fame d’ossa – per esempio –
quella che langue, deserta,
tra un’unghia e la spina dorsale

come se l’avorio
o due particelle miserrime di idrogeno
potessero fare la differenza!

Ora, si pensi all’equinozio delle rondini
che anche se s’attardano talvolta,
è vero che poi arrivano.
e lo fanno sempre
anche se hai i capelli corti
e corri dietro ai fazzoletti bianchi.

Anche se hai le dita contate
per mangiucchiare la fame d’amore
loro arrivano
e quasi ridono sotto l’ala.

Ché poi ti prende un sonno
che non sai più che pesci pigliare
e nuoti l’aria in mare aperto
senza la maschera
con il cloro negli occhi
che ti cieca.

Ché poi resti
– povero sostantivo solo
senza ossigeno –

 

 

Io, la notte e tutte le notti, dopo

 Ci vuole coraggio per respirare
troppa neve sulle costole, quest’inverno
che se solo mi sapessi davvero
lo sentirei questo vento
che mi sciarpa le labbra, zitte

le mani tremano e mi adopero
quello che posso, le dita,
intendo una marea sfinita
questo lasciare che sia, altrove

Altrove le stelle bruciano
le ho toccate, era notte
e c’erano carri che volavano le nuvole
ci sono cieli che non mi sanno
eppure stanno sulla testa
e mille rumori da scordare
sembrano passi,

quelli che ho lasciato
bandiera bianca sulla spiaggia
e un maggio che piangeva
mi implorava di restare

ginocchia al petto e un angolo solo
per sudare camicie di buio
io, la notte e tutte le notti, dopo.

Un giorno che c'era amore

 

ci sarebbe stato,
forse un caso, un giorno
che c’era amore
non lo dimentico,
fra ventiquattrore di passaggio
e passeggio di tram
quanto è vera quest’aria
che barcollo
e il monossido sul cuore

ci sarebbe stato
a dirla tutta un vento, altro
che di tramontana sulle labbra
ce n’è sempre troppa
e ancora vele questi anni
che ci sarebbe stato qualcosa
ma non fu mai nulla oltre l’ozio
e il cinico balbettare perditempo
delle ore in questo strazio
di silenzi a stracci
e un cuore bianco che s’immola,
lacero,

già destino strabico
nella bocca, già ultimo
questo participio a gamba tesa.
che m’inciampa
precipitando le solite scale
e un nulla qualunque

ché ci sarebbe stato
e non fu mai.