Una fine più folle di un principio

Hanno tolto le tende in gran fretta
dopo quell’ultimo, esasperato, grido
nel centro esatto della notte: pensate
che cenerentola non aveva perso
ancora la scarpetta

Erano in cento
compreso i cani e la zingara
che predisse – cadranno
giù le torri e non saranno
di babele le lingue –

Penso che a quest’ora
abbiano già risalito il vento
per la rotta di un capello sciolto
e di sicuro i loro figli
avranno fatto testamento

Gli angeli eredi, stavolta,
ci penseranno bene
prima di piantare meli e biscie
e – chissa! – forse, l’eden
si chiamerà mondo.

Forse.

(Le solitudini di Aradollo – 2006)

 

ghiacciaRia

i gomiti sul tavolo
disegnano il vuoto preciso
di una solitudine: un cerchio chiuso
che a contenermi non mi basta

tutto resta fuori:
le mani,gli occhi,le gambe
e il cuore
come un buco d’amore
che mi annaspa
dentro

e niente è lasciato al caso
neanche l’arco semichiuso
di una porta aperta
e un po’ di luce dentro

ché dentro fa freddo!
lo vedo il ghiaccio sui vetri
quello che resta intorno al mio nome
scritto col dito.
dice: francesca
e poi tace

esattamente freddo come era prima

(Agosto 2007)

Una piastrella

Usura diagnosticata:
piastrella di ceramica
ventiperventi
stagionatura a caldo di almeno
una generazione in scatole
condominiali

e transumanza di margherite
povere povere
millenovecentosettantaquattro
suole di cuoio
recidive

Prescindo comunque
i passi singhiozzati in su e giù
ricalcando le geometrie arrabbiate
della voce e
l’insolente tramestio
delle sedie

e le volte
che notti di polemiche lampadine
precipitavano
in gravità metalliche
e cocci rotti
forever

e non ricordo
che nessuno avesse predetto
destino più inesorabile

troppo facile morire così
troppo.

Le fughe rotte non rimarginano

GHOST

Facevo le capriole al contrario
trattenendo tutti i respiri in gola
E mi inventavo anche silenzi
nuovi di zecca
per non invaderti le stanze
. piccola piccola e bianca .
che l’intonaco non si distingueva.

Io ero il muro e tu la mia distanza.

Sempre con gli occhi incollati, sempre
suoi tuoi.
Ma tu, non mi vedevi mai .
Una volta, addirittura
mi passasti attraverso, mentre
a p p a s s i v o s c u r a t a
nella tua indifferenza.

Irrimediabile

L’omino è stato chiaro
chiarissimo
le tapparelle, il muro,
l’intero vano che abita la mia fame
è andato.
Ha detto che può essere dipeso dall’usura,
il maneggio incauto di certe sere,
la notte stanca.
Ha anche avanzato ipotesi circa
la mancata manutenzione del vizio
Ma titubava un poco. Ti
tubava

E, sebbene non riesca ancora a
spiegarsi il come
di quei bagliori impercettibili
a ridosso della crepa madre
quella al centro
e l’assenza totale assenza
di macerie
sotto, l’omino è stato chiarissimo,
lo ha detto senza neanche ingoiare
una volta:
il sogno si è rotto

Così ha detto.
E non si rimedia.

Forever

E’ la solita questione
dei numeri periodici.
Quei numeri infinitamente
indefiniti
eppure razionali.
Di quelli che
ad ogni divisione
si prendono il resto e se
lo mettono sopra. Una barra
drittissima in testa
per dire che non finisce mai
non si finisce mai
di morire.

Una linea chiusa che si chiama amore

[..]
Qualcosa si apre . A dismisura .
Una gracilità pesante di voci e .
Ricordo un punto preciso dal quale partimmo .
Il primo a definire la linea .
Valigie di notti alle mani e .
La stazione aveva ancora luci stanche e .
Buio di sonno imbrunito a coprire vagoni vuoti e .
La mia testa sul vetro era il punto sul quale finivi .
Sesso e camicie scoperte nelle asole vuote .
Arrivando destinazioni incompiute .
Le ore sono punti distanti da unire .
Mancanze che il respiro riempie .
Di me e . Di te . Voci stanche la notte e .
La stella più lontana è il punto che ti cerco negli occhi .
Litri di caffè nero . La rabbia .
La notte è una sfera bucata e .
Non tardò a curvare stretto .
Chiudendo gomiti di punti accavallati .
Delle nostre voci che incastonavano silenzi .
Metallo duro e .
Il punto della situazione si fece scomodo improvvisamente .
Stretto . Necessità di altre asole per sostare i sospiri .
Allargando le cintole all’anima costretta .
Scatole di giorni ottusi e .
Caderci sempre allineati davanti . Io e te .
Una linea d’infiniti punti consecutivi .
Salvi dentro lo stesso ritorno del cuore e .
Di strade e .
Qualcosa si apre . A dismisura .
[..]

[rileggere daccapo. all’infinito]

Un pezzo di cielo per cinquanta centesimi

Era un mercato del sabato
in un mese senza il cappotto
e il vento non aveva i denti:
semplicemente bussava con le nocche storte
sulla punta del naso
e poi scappava via
come fanno i bambini ai citofoni

E dato che non piove più
se non per effetto
non riuscendo ormai più a respirare
ho comprato un pezzo di cielo
per cinquanta centesimi

Era su una bancarella
di quelle della roba usata
tra uno scialle piedipull
ed un jeans all’ultimo grido
e chiunque – dico chiunque –
poteva scambiarlo con
un semplice – banalissimo
niente.

Ma non di certo io
che conoscevo quelle nuvole come le mie tasche
vuote.

Da allora
ho un cielo tutto per me.
Pensate, quattro stagioni su quattro
ad un palmo dalla mia testa
io che non ho mai avuto
neanche la naftalina
per sedare i vizi
dell’aria.

E quando la luna cade
in quelle notti che è inverno
e l’ossigeno non regge neanche
un candela

ci dormo sopra.

Home page

La mia bocca è una casa fragile
mattine di sogni smerigliati
scagliati contro un muro
che hanno lasciato il segno:
un’ombra per ogni giorno
di tutti i giorni, di tutti i santi.
Anche se vado di gomito, anche se vado
loro non vanno via.
Eppure, tutto il mio possibile
l’ho anche detto e fatto. L’ho fatto.
Ma quelle restano e incoraggiano il silenzio
più grandi di me, che non ho mai avuto l’età
giusta dei denti. E neanche la memoria.

Grrrr

Benedico silenzi continuamente, ormai,
Perché questo della parola,
alla fine,
è un lusso arrogante
il fine che non giustifica il mezzo
qualcosa che esplode
col beneficio di inventario. Ma resta. E
ingombra. E insana.
E se, ad un certo punto,
decidessi di ingoiare, persino
non voglio nessun indice a sparare.
Perché non uso bocca, è vero
Ma so ancora mordere.
E lo so fare persino molto bene.

Lavvestori

Edward Hopper Summer interior ( Interno d'estate ) 1909
Edward Hopper Summer interior ( Interno d’estate ) 1909

Mi presento: sono un portone
quella cosa che si apre quando si chiude una porta
e a Lui, al mio uomo, la sua porta l’ha cacciato a pedate di casa
e dice che è stata la sua fortuna
perché io non sono soltanto una porta come la sua ex,
ma un portone.

Ovviamente, quando dice così, io faccio l’amore molto meglio.

E dovete anche sapere che Lui mi parla spessissimo.
Mi parla di lei. Lei che faceva piagnistei continui
per cose che lui non capiva
e rompeva le palle ogni qualvolta Lui
era a giocare a calcetto coi suoi amici.

Invece io,
che sono un portone e non di certo una porta
non lo farò mai,
perché Lui è un uomo fortunato ad avere un portone come me
alla sua costola.

E quando dice così io faccio anche le capriole con la bocca
intorno al sesso
e dico sì, sempre di sì,

anche se ho veramente male alla testa
e al fegato.
Perché io, ve l’ho detto, no?
io sono il portone.

Riproduzioni

Questo mio saperti a memoria
non consente mai alla tua assenza
di palesarsi.
Così, mi tempero gli occhi,
vado di ricalco sul tratto
e, magicamente, diventi.
Anche quando ho solo forbici
dentro le mani.

Un pazzo da legare

Di quelle pareti bianche
non mi è mai importato nulla
piuttosto, era l’odore sterile
dei camici bianchi
che mi ubriacava
e senza accorgermene
mi ritrovavo le labbra accostate tutte su un lato

u n o s o l o

e non riuscivo a parlare
neanche a deglutire – se proprio devo dirla tutta –
tanto che rigavo trasparenze sul mento
e non c’era più aria
perché mi ritrovavo a nuotare con le mani
come quando giocavo a fare onde sul mare
ed ero io il vento
ma nessuno mi credeva

L'acquario

acquario-pesci-rossi_NG1Siamo due – io e lui
due pesci rossi nella boccia
a pescare i silenzi dentro la rètina.
Manca l’aria alle parole, così restiamo zitti
e giochiamo a nascondino con la faccia dentro le mani
ignorando la trasparenza friabile del vetro.
Vince sempre lui e io applaudo al suo talento
di non sapere altri mondi, fuori di qui
ché due è un numero dispari, talvolta.

Un telegiornale

Posso urlare in maiuscolo – FINALMENTE –
e imperare i verbi sudici contro le persiane
perché pare che dio sia a lavarsi le mani
da qualche parte.

Lo dicevano
prima al telegiornale
poi hanno mandato il méteo
e ho saputo

che il cielo non promette nulla di buono
per i prossimi giorni

che ci sarà solo schiuma
per questo mare di pezza

e che le stelle scadute
le ha sequestrate il ministero della sanità.

Pare che abbiano arrestato un paio di angeli
per questo.

La fame non ha mai denti buoni

E’ la stessa storia di sempre
e non se ne esce.
Ne ho quasi vergogna
come parlare che a volte
è un vizio inutile.
Per questo mi rattristano
non poco
queste mani composte sul tavolo
una candela tutta consumata
e al centro
due olive nere nel piatto.
Le stesse di ieri, solo più magre
una per te ed una per me.
E poi silenzi
per mangiarne una settimana intera.
E mi dispiace moltissimo
saperci imbalsamati
sulle nostre grucce regolabili
digiunandoci parole.
Sembriamo due cappotti smessi
da qualcuno più grande di noi.
Ed io l’ho capito
che il mio non mi sta mica bene
sfiorisce male sulle ginocchia
facendomi più alta
di come poi non sono.
Mai stata.