TACE

Certo è
che non si finisce mai di imparare.
Per esempio, fino ad un mese fa
nel mio microscopico mondo
una lesione era una crepa
o una frattura,
tutt’al più, un danno.
Non di certo un eufemismo.

Come anche, ero convinta,
che TACE
fosse soltanto una voce che non dice.
Mica una specie di sorte.

troppopieno

una goccia alla volta
sembrava niente. gli attimimesisecoli
all’accumulo
senza il benché ,minimo riguardo
per la dignità e
senza tenere conto che
in queste caraffe poverepovere
è severamente vietato
traboccare.

Caporetto

In questa città sono arrivati gli sciacalli
nelle ultime settimane
certi di trovare terra bruciata
e sogni da rapinare, anche
nel ventre ancora caldo.

Puzzavano di povertà
nei cuori fradici d’assenza.

Ma hanno trovato solo miele e api
e fiori che facevano figli e
primavere.

E hanno finito con l’andare via
col cazzo in mezzo alle gambe

e testa bassa.

40

La mia scarpiera trabocca di scarpe.
Scarpe nuove, mai usate
scarpe che ho comprato con la precisa intenzione
di fare diventare passi
ma che passi non sono mai diventate.
Le conservo tutte
vergini come il primo giorno

quando erano ancora un sogno
che poteva divenire

ma che non ha mai imparato a camminare.

Formaldeide

Io dicevo, tu dicevi, si rideva,
tutto è andato avanti così
come quando una goccia cade dopo un’altra, continuamente
e si chiama pioggia.
Intanto, in mezzo, succedevano bicchieri,
libri, e carezze
da riempire un intero pozzo. Anzi, due.

Niente di straordinario, a pensarci bene.
Solo cose che fanno sembrare ancora vivi
certi sogni.

Tuttavia, non piove mai per sempre
e mai sulla gola asciutta.

Placebo

Nel cilindro del mago
ci stavamo proprio tutti.
Eravamo io, il mago, la giostra
e tutti i conigli del mondo
Altri metri scandivano distanze,
le altalene che sgambettavano
sogni.
E per effetto placebo
un bacio guariva le voragini
dell’abbandono.

Ma solo nel cilindro, però.

Vertigini

Dice che all’inizio sia persino piacevole
il calore, la forza fragile alla pupilla
e tutti quegli xantelasmi da scalare
arrivando la luce, in fondo.

Dice che all’inizio sia così.

È solo dopo che le cose si complicano,
solo quando gli occhi si abituano al buio
e il precipizio lo vedi, inesorabile,
appena un passo oltre le ciglia.

Qualcuno vi ha lanciato dentro
una valigia piena di baci
ed è fuggito via

con la scusa urgente
della gatta da pelare.

Dream on

E niente, ci sono state cose semplici
un caffè, il bagno condiviso
io mi truccavo e tu ti radevi la barba.
Hai detto quella cosa buffa
sul mio naso, ho riso, ho riso tanto
e poi, mi hai anche fatto una carezza
che era una cosa dolce, dolcissima.
Mi hai avvertita che avresti fatto tardi,
lo hai fatto mentre mi baciavi le tempie.

Ma che tornavi. Certo che tornavi.

E anche stavolta, è suonata la sveglia
che avevo ancora la bocca sporca di sogno.
Ho bevuto il caffè, mi sono preparata
e allo specchio mi sono fatta quella carezza.

Ma con gli occhi chiusi.

32°F

Prescindere dai fatti
ormai, mi è impossibile:
le parole bucate, gli spifferi facili
le bocche prensili alla noia

e l’ennesimo inverno da ingoiare
tenendo ben chiusi gli occhi
prima che nevichi.

L’acciaio, il freddo
e la rottura fragile delle cose.

Palinsesto

E’ quasi sera.
Ho lasciato macchie di caffé
di quando non so che fare
e allora penso a te,
che la noia ha già infestato ogni stanza.
Ma io sono stata brava, ho previsto tutto
e ho sistemato sul tavolino
cellulare, telecomando e un vetro d’acqua.
E avrò cura di non dimenticare
di allungare la mano sul divano
sulla tua assenza.

Bellafiore, Dolcedisale e le Lucciole.

dolcedisale
disegno di Michaela D’Astuto

Certo che non si può dire sprecato
il tempo speso ad inseguire le lucciole.
Anche se scopri che amano una volta sola.
E poi muoiono.
Non soltanto per questo
Bellafiore stava chiusa in gabbia
come ogni angelo che si rispetti.
Tutti i giorni che stanno nel calendario.
E non batteva mai ciglia.
Semmai sedeva solitudini inattese.
Improvvise. E, solo talvolta, frignava.
Ma null’altro.
Di una compostezza che neanche una Madonna.
Neanche una madonna.
Dolcedisale, d’altro canto
dal suo cantuccio accovacciato di nuvole
sciorinava un fare di donna
ma senza la coscienza. Tanto poi
a rimediare si pensa sempre.
Si cotonava i capelli
con l’ammoniaca, sperando un giorno
arrivassero – maledette loro –
sperando. Ma non si fecero vive, mai.
Le lucciole, intendo.
E fu decisamente un bene.
Tanto, lei, mica lo sapeva.

Cronache di un Autunno

Sono successe cose, piccole cose

la linea storta sugli occhi
il traffico bloccato, i panni sporchi,
la spia rossa, il buco nero.

Si è anche fulminata una lampadina
ma me l’hanno dovuto dire.

Sono successe cose, sono successe anche se
ho respirato il giusto, senza esagerare
ho parlato pochissimo, lo giuro, quasi niente.
ma sono successe.

E ci sono anche novità, tipo
chiudere il sorriso per inventario
riparare la crepa delle notti, ché qui piove spesso
e sempre da dentro.

E infine, provare a scrivere il mio nome
sulla lista delle cose urgenti da sistemare
sul post-it del frigo.

Domus

domus

 

Ho costruito un quadrato
sull’ipotenusa della mia solitudine
la dimora perfetta per giocare
a battaglia navale con lo specchio

indovinare le coordinate del silenzio
e perdere sempre a tavolino
per colpa del casino che fa il cuore.
Anche quando ho gli occhi chiusi.

No frost

Il mio frigo è un tipo timido
ma accetta caramelle dagli sconosciuti.
Parla solo con la luce accesa
e tende a conservare tutto dentro,
chiuso negli inverni irrisolti del suo cuore

perché non vuole ancora ammettere
la paura che ha del buio.
E della fame.

da “Chernobylove – il giorno dopo il vento” – Kimerik 2010

Adamo ancora nega

Ancora neghi che la terra sia rotonda
soltanto perché non vedi che il tuo passo
distante anni luce dall’orizzonte .
E a me non resta che osservare impotente
il tempo che impiega una fronte
a corrugarsi.

Una vetrina

Ho messo in vetrina
un sorriso che sta fermo e zoppo
sulle sue gambe. L’ho messo in vetrina
nella sua posa migliore, s’intende:
quella dalla quale si vede il mediterraneo. Tutto.

E qualcuno che si fermi e lo guardi, c’è sempre
e mai per acquistarlo – soltanto possederlo
per quel solo unico attimo.
Come è anche solito che qualcuno
non veda che una pozzanghera
di quando piove poco e male – fuliggine e indolenza.

L’ho messo in vetrina perché così
non barcolla più e, piuttosto che
continuamente precipitare nuvole
di incanto, piuttosto, piuttosto muore.

Ma non come qualcosa che dimentico.
Come qualcosa che ho perso.

HOUSE

Il luogo in cui mi appartengo
è una iena che guarda di traverso
qualcosa di infinito
in mezzo agli occhi. E ride.
Se la ride da matti.
Ride di me
che più di mentire spoglie
non posso altro. Non posso più.